A proposito di regali

Siamo in anticipo sulla tabella di marcia del fiocco? Niente affatto. I regali ci aspettano. Da tempo. Da quando – vi ricordate? – non li snobbavamo affatto. Da quando era una gioia farli e riceverli. Da quando ci dicevano: “Mi pensi? Ma quanto mi pensi?”

“Farai i regali di Natale quest’anno?”
“Sì! Sì! Assolutamente sì.”
Non è il dialogo tra un Venditore di Balocchi e un passeggere. E’ lo scambio di battute che – è capitato anche a voi? – cogliamo tra amici che hanno esaurito-si-fa-per-dire ogni altro pressante argomento di conversazione (la salute, il meteo, il Covid, eh già).

Fino a qualche anno non fare regali a Natale era impensabile. Natale e dintorni erano le feste per antonomasia. Le occasioni più luccicose dell’anno per cullare affetti vicini e lontani, per avere il pretesto – validissimo – per dire, con un piccolo dono, ma lo sai che ti penso?
Poi – da parte di alcuni – c’è stato un tentativo, modaiolo più che sentito davvero, di rinunciare alla buona pratica del regalo infiocchettato: uhm, sono contro il consumismo; uhm, mio figlio ha già tutto; uhm, non basta un messaggino o una telefonata?

E ora? Ora che il Natale bussa piano alla nostra porta rigorosamente chiusa dopo le 22, ora che l’incertezza per il futuro che verrà tende a sgomitare coi progetti e i sogni e i desideri che dovrebbero sempre riempire la nostra vita, ora che stiamo cambiando tante abitudini ma a poco a poco, senza rendercene troppo conto, pensare e fare dei regali alle persone a cui teniamo, agli amici che abbiamo rinunciato a vedere, ai bambini, ai nonni, agli amori di casa è un dovere o una rinuncia?
Io direi che è un piacere. Una di quelle piccole grandi gioie che meritano di essere rivalutate. Uno di quei gesti irrinunciabili che hanno un valore in sé, a prescindere dalla qualità o dal costo del regalo.

Mia mamma Margherita iniziava a settembre, al massimo a ottobre se l’autunno tardava ad annunciarsi, a pensare ai regali di Natale. Prima che la contagiassi col mio disordine e la mia (parziale) disorganizzazione, faceva la sua bella lista di persone a cui avrebbe fatto trovare un regalo sotto l’albero dell’amicizia (non necessariamente un abete). In cima alla lista, finchè ero piccola, ovviamente c’ero io, la sua unica figlia, poi papà e a seguire tanti tanti altri nomi. Quando è diventata nonna, mi sono trovata declassata al terzo posto: prima di me venivano i nipoti. Ma era giusto che fosse così. Era bello così. Accanto a ogni nome della sua magica lista era indicato il tipo di regalo scelto: un orologio, un gioco, una felpa, un profumo (questo era mio!), una cesta di bontà mangerecce, un libro, un libro, un libro. Mamma regalava soprattutto libri. Detto tra noi: c’è un regalo migliore?

Ogni tanto capitava che accanto a un nome restasse uno spazio vuoto. O un punto interrogativo. Non c’era ancora il regalo giusto da affiancare a una delle persone in elenco. E allora, la passeggiata in centro, l’occhiata alle vetrine-lustrini, la chiacchierata casuale con la destinataria del dono non ancora identificato avevano un obiettivo puntuale: dare la caccia al regalo mancante. Quello che rispondesse ai desideri di chi lo faceva e di chi lo avrebbe ricevuto. Era un’allegra sfida. Non sempre vincente.

Succedeva infatti, inevitabilmente, che qualche regalo fosse un flop. Un profumo? Oh! Ti ringrazio del pensiero ma sono allergica al profumo! La felpa? E’ carina, ma è di due taglie più piccola, e poi è viola…che è un colore onirico, ma proprio non si intona alla mia carnagione. Lo champagne! Lo offrirò alla prima occasione perché sono astemio.

Scartando un regalo, a volte si scartava un po’ di entusiasmo. L’illusione di aver regalato anche in sorriso insieme a quel pacco azzurro col nastrino blu si variegava di delusione. Ma erano piccoli inconvenienti già messi in conto.

E’ difficile, soprattutto se vi è un’aspettativa generosa da parte del destinatario di un regalo, rispondere completamente a un desiderio. Ma quando invece l’apprezzamento è gioioso e autentico, ecco che si condivide sorpresa e bellezza. E’ un’esperienza che avete fatto, no?

Quindi, perché non replicare anche quest’anno le piccole, semplici, allettanti, emozioni che dà un regalo?

Magari fatto in casa (ho un’amica che sa preparare degli ottimi biscottini di Natale alla cannella), magari riciclato (la coperta patchwork della nonna! te la regalo anche se è un ricordo, perché tiene caldissimo ed è troppo allegra), magari minuscolo (una mollettina di legno con il babbonatalino incollato), magari “classico” (la foto stampata di quando eravamo alle elementari), magari pieno di promesse, di fantasia, di vita (un libro, tanti libri), magari utile, magari – perché no? – inutile, ma così carino!

E dunque, se siete arrivati fin qui, un regalo intanto ve lo faccio anch’io: è un abbraccio!

edr