Perché dovremmo sposarci (in chiesa)?

L’intervista a don Roberto Bischer, direttore dell’ufficio diocesano per la pastorale della famiglia

Perché sposarsi?”: una domanda che di questi tempi può risultare pressante, per molte giovani coppie.

Una domanda che spesso rimane senza risposta, visto che i giovani tendono a preferire la convivenza o il matrimonio civile.

Allora questo quesito lo abbiamo posto a don Roberto Bischer, parroco di Campolongo e direttore dell’ufficio diocesano per la pastorale della famiglia dal 2016.

Quali sono i motivi che dovrebbero spingere le persone ad unirsi in matrimonio?
“I motivi di oggi non dovrebbero essere diversi da quelli di ieri e di sempre. I tempi certamente cambiano ed è importante avere un’effettiva consapevolezza della realtà in cui si vive, ma sono convinto che l’uomo porta da sempre in sé il desiderio di amare ed essere amato”, dice don Roberto. Il matrimonio cristiano dovrebbe quindi essere compreso come una “sorta di conseguenza di quella che in gergo viene definita la “fedeltà a Dio e fedeltà all’uomo”. La scelta di celebrare il sacramento del matrimonio dovrebbe essere la risposta ad una prospettiva che è al contempo di ragione e di fede, un atto mai scontato, da verificare e preparare a lungo, da rinnovare e vivere giorno per giorno”.

Ma non bisogna incorrere in un errore diffuso, quello di pensare che il matrimonio cristiano dia – semplicemente – qualcosa in più rispetto ad altri tipi di unioni. Secondo don Roberto è infatti “una scelta diversa, dotata di una sua specificità da riconoscere in quanto tale e che proprio per la sua specificità non può essere associata ad altre”. Già, ma qual è questa peculiarità? “La scelta esprime pubblicamente il desiderio personale e di coppia di vivere l’amore come l’ha annunciato e vissuto Gesù dalla sua incarnazione fino alla sua passione, morte e risurrezione: un amore unico, fedele, indissolubile, fecondo – spiega don Roberto -.

È un desiderio mai raggiunto in pienezza che, una volta assunto e consacrato da Dio, si traduce in impegno e invocazione perché il Signore custodisca, alimenti e faccia crescere l’amore secondo il suo progetto. Un percorso sempre imperfetto e in via di costruzione, non fondato solo sulle proprie forze, ma sulla promessa di Gesù a cui necessariamente attingere per evitare idealismi o soggettivismi”.

Perché oggi c’è questa “difficoltà” a scegliere il matrimonio?
Ritengo siano molteplici e complesse le cause. Percepisco soprattutto una certa fatica ad intessere relazioni effettivamente solide. Da quel che si legge e si sente da non poche analisi antropologiche e sociali, si riscontra nell’umanità contemporanea una pro- nunciata precarietà relazionale dentro un contesto sociale caratterizzato da frammentarietà e individualismo. Come scegliere dunque di sposarsi in questa situazione? Non si può pensare di costruire una casa – la persona, l’amicizia, l’amore – sulla sabbia.

Cosa pensa di una possibile apertura ai sacerdoti sposati?

Io penso che la questione del celibato sia fortemente connessa con quella del matrimonio. Non penso che si possa risolvere radicalmente la prima crisi(del sacerdozio) fino a quando non si arriva a riconoscere il collegamento – reciproco – con la seconda (del matrimonio). Sono entrambi lati di un’u-nica medaglia. Il celibato è un grandissimo e delicato dono che va custodito nella preghiera e nella vigilanza. Personalmente non ritengo fruttuosal’idea di dare ai preti la possibilità di sposarsi. Di per sé il prete è già uno sposo perché partecipa della sponsalità di Cristo Gesù che ha dato tutto sé stesso per la Chiesa.

Conseguenze del calo dei matrimoni?

Non mi preoccupa in primo luogo il calo dei matrimoni, ma soprattutto il crollo delle nuove nascite. Anche se sono aspetti collegati tra di loro, penso che si vada verso una progressiva condizione di solitudine che alla lunga danneggia l’umanità e la vita. La Chiesa e i governi dovrebbero appron- tare concrete politiche a sostegno della famiglia e soprattutto della natalità.

Roberto Silvestrin